07.05.14 Per Walter Schiavella, segretario generale della Fillea, intervenuto oggi a Rimini nella seconda giornata dell’assise nazionale Cgil “questo congresso è stato un congresso vero, in cui i lavoratori e le lavoratrici ci hanno consegnato i loro problemi ma ci hanno anche chiesto di agire presto e con coraggio per dare maggiore incisività all’azione del sindacato sulle grandi emergenze di oggi, a partire dal lavoro, quello che c’è e va salvato, quello che non c’è e va costruito, quello che non ha diritti, precario, sottopagato, che va trasformato in lavoro buono."
L’interesse intorno al congresso si è concentrato però non su questi aspetti, ma sul tema della democrazia interna, che per Schiavella “non è il problema della Cgil, né è un problema che si sia andati al congresso con due documenti. Il problema vero è la deriva identitaria che colpisce il tessuto connettivo della CGIL ,cioè la sua natura confederale. La malattia sta degenerando dopo anni di incubazione. I suoi sintomi evidenti sono il protagonismo ed il personalismo che condiziona le scelte, il sottrarsi alle regole collettive.”
Occorre arrestare questa deriva “il problema e' eminentemente politico e non certo disciplinare” per questo occorre “richiamare tutti al proprio ruolo in funzione di chi (e di quanto) davvero si rappresenta.”
E a quella rappresentanza reale “della nostra gente voglio tornare” continua Schiavella “in un settore che ha lasciato sul campo 700mila posti di lavoro in cinque anni di crisi e dove il nostro lavoro, il lavoro dei nostri funzionari e delegati, oscuro difficile e straordinario, ha prodotto migliaia di accordi su tutto il territorio nazionale per salvare decine di migliaia di posti di lavoro.”
Ma tutto questo, insieme alle tante mobilitazioni nazionali e locali per il lavoro e lo sviluppo e all’impegno per garantire la tenuta del sistema contrattuale rinnovando i CCNL e moltissimi accordi di secondo livello “non ci autorizza a non porci la domanda: potevamo fare di più e meglio?” prosegue Schiavella, secondo il quale “non siamo riusciti a tenere unito il lavoro che le trasformazioni produttive prima e la crisi poi hanno frammentato e disperso. E' da qui che dobbiamo ripartire per centrare i tre grandi obiettivi che i lavoratori ci hanno indicato nel congresso: lavoro, pensioni, salario.”
Il lavoro, innanzitutto “difendendo il lavoro che e' rimasto. Le migliaia di accordi sottoscritti hanno bisogno di un sistema di ammortizzatori sociali degno di questo nome, universale ed efficace; a partire dal rifinanziamento della cassa in deroga e ponendo fine alle storture come quella di categorie come gli edili che pagano di più per ricevere meno di altri.”
Ma soprattutto occorre “creare il lavoro che manca. Per questo il piano del lavoro deve essere la piattaforma sulla quale rivendicare una nuova stagione di contrattazione territoriale dello sviluppo delle nostre città e dei territori della quale la FILLEA deve essere protagonista insieme alla CGIL ma senza delegare alla CGIL.”Qualsiasi obiettivo di crescita che riguarda il territorio deve partire però dalla consapevolezza che “non è riproducibile il precedente modello di sviluppo, con una svolta profonda ed irreversibile verso la sostenibilità” ma per affermare un modello di sviluppo di qualità serve ”lavoro di qualità: legalità e regolarità sono due facce della stessa medaglia. Su questo terreno ci piacerebbe davvero che il governo cambiasse verso al paese. Il decreto legge del Ministro Poletti non introduce alcun cambiamento di direzione” perché si continua a pensare che aumentando le flessibilità si aumenta il lavoro “se così fosse l'' edilizia dove il 95 % imprese e' sotto i 15 dipendenti, dove si può licenziare per fine cantiere e fase lavorativa, non sarebbe in crisi. A noi della FILLEA la flessibilità non spaventa. Siamo una punta avanzata nella sperimentazione contrattuale . Non c'è niente di preconcetto nel nostro no al decreto, ma quello che state facendo è sbagliato!” prosegue Schiavella “Volete semplificare? Bene allora contratto unico a tutele crescenti abolendo ogni altra forma contrattuale a partire dalle partite Iva.”
Ma gli effetti più devastanti il decreto li produce con le ennesime modifiche al Durc “quello che volete fare, signor Ministro, non smaterializza il Durc, lo vaporizza! E senza Durc e' il far west a scapito prima di tutto di una sicurezza sul lavoro già carente come dimostrano i numeri veri quelli che mettono in confronto i dati INAIL con le ore lavorate.”
Toccando il tema delle grandi opere, su cui nel congresso c’è stato un grande dibattito e molte polemiche, per Schiavella “a chi pensa di risolvere il tema dividendo il campo in due fra ambientalisti e cementificatori, rispondiamo con la forza delle nostre scelte in materia ambientale” ed al congresso Cgil Schiavella chiede “il coraggio di una scelta che confermi quanto già definito nel precedente congresso in materia di TAV TO/LI e più in generale in materia di infrastrutture e reti TEN. Il paese ha bisogno di migliorare la sua efficienza di sistema con una moderna rete infrastrutturale programmata nazionalmente su priorità chiare a partire dalla centralità di una nuova questione meridionale”e per questo “il nostro piano per il lavoro non contrappone grandi e piccole opere ne la AV/AC al potenziamento delle reti ferroviare regionali e metropolitane. La vera contrapposizione deve restare quella fra opere utili e necessarie al paese e opere inutili per la collettività ma utili per la rendita,la speculazione ,il malaffare e le mafie.”
Infine, sulla rappresentanza,
Tutto cio' non elimina una necessita' di riflessione sulle modalita' con cui si e' giunti all'accordo come spunto per una analisi necessaria sul ruolo e funzioni della confederalita'.
Sugli accordi in materia di rappresentanza "l'esito del voto dei nostri iscritti è chiaro, la discussione per quanto ci riguarda è chiusa, ipotizzare vizi di costituzionalità non solo e' sbagliato ma è folle, ed ipotizzare il rischio di una dittatura della maggioranza è negare le ragioni stesse della democrazia" non solo ma "dire che i nostri delegati Rsu hanno ragione solo quando fanno ciò che diciamo e' avere una concezione a dir poco datata del rapporto fra base e vertice delle organizzazioni politiche e sociali."
Se quegli accordi hanno un limite "e' che in essi permane la centralità industrialista di un mondo che non ha invece più una sua centralità oggettiva . Si pone il tema di come applicare quegli accordi al mondo del lavoro frammentato e diffuso, di come usarlo come strumento di riunificazione del lavoro, di come e di quali forme di democrazia esercitare nelle realtà produttive disperse e frammentate. Questa ora e' la vera discussione da fare."
Occorre però "una riflessione sulle modalita' con cui si e' giunti all'accordo come spunto per una analisi necessaria sul ruolo e funzioni della confederalita'. Appare infatti evidente il corto circuito determinato da uno scarso coinvolgimento delle categorie nelle fasi di stretta dell'accordo. Non è' in discussione, per quel che mi riguarda, ne' la legittimità ne' ancor meno l'autorevolezza della segreteria confederale a stipulare accordi interconfederali. Si tratta invece di prendere semplicemente atto che la complessità di questa fase esige invece in termini strutturali una maggiore capacità di direzione collegiale che coinvolga efficacemente la pluralità delle esperienze nella definizione di sintesi più avanzate. "
Quelle diversita' "esistono e hanno tutte la stessa importanza e dignita'. La capacità di fare sintesi di quelle differenze e di rinunciare ciascuno di noi ad esibirle come tratto identitario ha fatto si' che la natura confederale della cgil sopravvivesse per oltre 100 anni. Quanto accade oggi e' solo il frutto di una deriva che ha progressivamente spostato il pluralismo interno dall'appartenenza politica, alle aree programmatiche e oggi alle strutture" ma per Schiavella " un pluralismo delle strutture non è compatibile con una organizzazione confederale. E' questo il nodo che va sciolto .La sfida che dobbiamo affrontare per uscire in avanti da questa evidente crisi della nostra dialettica interna resta quindi quella di ridefinire i tratti costitutivi di una rinnovata confederalita' che sappia interpretare le trasformazioni intervenute sul lavoro, sulla struttura sociale e produttiva e sulle stesse forme della rappresentanza sociale e, conseguentemente a tutto ciò , sappia anche adeguare le regole del nostro stare insieme. "
Il pluralismo "va coniugato con la velocità, l'esigibilità e la cogenza delle decisioni; abbiamo bisogno di regole partecipate ma capaci di rappresentare la complessità della rappresentanza sociale nella gestione dei congressi e nella selezione dei gruppi dirigenti attraverso la valorizzazione della democrazia di mandato certificata ed esigibile contro l'utilizzo retorico della democrazia diretta ogni volta e ad ogni costo. Non possiamo aspettare oltre nel rinnovare la confederalita' e con essa la nostra organizzazione rinunciando ciascuno alla difesa della propria posizione. La nostra generazione deve essere disponibile ad un passo laterale per costruire un necessario e vero ricambio generazionale. Abbiamo una struttura basata su un modello produttivo che non risponde piu' alla realtà e ancora troppe federazioni di categoria, così come abbiamo un assetto delle cdlt che non risponde più ne' agli ai livelli istituzionali ne' a quelli sociali con un numero eccessivo di strutture. Abbiamo soprattutto un governo duale (CGIL Reg./ Categorie nazionali) dell'organizzazione che è inefficiente sul piano organizzativo e difficile da portare a sintesi sul piano politico. Siamo lenti quando il mondo va veloce.
Ma abbiamo ancora una straordinaria vitalità ,quella data dal nostro radicamento nei territori e nei luoghi di lavoro. Dobbiamo necessariamente ripartire da li ma dobbiamo farlo in fretta. Abbiamo sbagliato a non usare questo congresso per fare tutto ciò. Non possiamo perseverare nell'errore. E' questa la responsabilità collettiva di questo gruppo dirigente per consegnare al piu' presto ad una nuova generazione di quadri una CGIL forte e capace di affrontare il futuro."
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