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Referendum

Sindacato Nuovo, gennaio 2024, pag. 7. Dalla COP28 un primo passo per abbandonare i combustibili fossili. Di Rossella Muroni, Presidente Nuove Ri-Generazioni

 

Per la prima volta nella storia dei negoziati sul clima delle Nazioni Unite c’è stato un accordo sull’abbandono dei combustibili fossili perché ritenuti causa principale del surriscaldamento del Pianeta. Sembra poco ma non lo è, soprattutto in epoca di negazionismo climatico. L’intesa raggiunta in conclusione del vertice mondiale sui cambiamenti climatici, sia pure dopo una lunga partita diplomatica sul testo da adottare è arrivata alla Cop28, la Conferenza delle parti ospitata a Dubai; dove il sottosuolo è ricco di giacimenti, e dove l’azienda petrolifera di Stato è guidata da Sultan Al Jaber, che della Cop è stato il controverso presidente. Non un’uscita (il ‘phase out’) dai fossili, come chiedevano il mondo della scienza e gli ambientalisti, ma una transizione (‘transition away’), è il risultato ottenuto alla fine. Quindi un addio ponderato a carbone, petrolio, e gas già a partire da questo decennio per giungere a un quadro che contempli emissioni nette zero entro il 2050, la triplicazione delle rinnovabili e il raddoppio dell’efficienza energetica. Purtroppo, contemporaneamente si fa riferimento alle nuove tecnologie che consentono di trasformarci il meno possibile, come quelle per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (fallimentari e costosissime nelle loro prime realizzazioni) e quelle per la produzione di idrogeno da gas. A questo quadro viene affiancato anche il nucleare (quello che verrà, quello che vorrebbe, quello che sarebbe) come ‘supplente’ dei fossili, per garantire la produzione energetica: una bufala insomma. Ma in generale volendo guardare il bicchiere mezzo pieno poteva andare peggio e di certo non è stato un fallimento come molti pronosticavano alla vigilia. In sostanza si chiede, per i sistemi energetici, di “transitare fuori dai combustibili fossili in modo giusto, ordinato, e equo”, con un’accelerazione già in “questo decennio”. La soglia relativa al picco massimo di emissioni dovrebbe avvenire intorno al 2025 (con qualche margine per determinati Paesi lanciati ormai su un percorso dettato da precedenti investimenti). Secondo il testo - composto da 21 pagine - la transizione dovrebbe avvenire guardando a “un mondo a zero emissioni nette di gas serra entro il 2050, seguendo le indicazioni della scienza”. La via europea alla transizione ecologica insomma. Il vero limite invece sta nella falla lasciata aperta quando si citano i “combustibili di transizione”: il riferimento è naturalmente al gas. Eppure, per l’IPCC, l’organismo scientifico dell’ONU, l’era dei combustibili fossili deve finire, con giustizia ed equità ma soprattutto in tempo utile. E ne abbiamo pochissimo di tempo. Ne hanno poco soprattutto i Paesi più poveri e più duramente colpiti dai mutamenti climatici. Su questo fronte una buona notizia è giunta con l’approvazione del Fondo ‘Loss & damage’ (‘Perdite e danni’), con cui si offrono aiuti ai paesi in via di sviluppo, e a quelli più ‘sensibili’ agli impatti del clima. Il Fondo - che era uno dei temi segnati in grassetto nelle agende degli sherpa - sarà riempito di risorse che arriveranno dai finanziamenti messi a disposizione dai Paesi industrializzati e sarà ospitato per il momento dalla Banca Mondiale. Uno degli obiettivi di quest’ultimo accordo è soprattutto quello di aiutare i Paesi ad aggiornare i singoli Piani nazionali allineandoli all’accordo di Parigi (quella raggiunto in Francia alla Cop21 che punta a limitare l’aumento medio della temperatura globale entro gli 1,5 gradi centigradi, comunque non oltre i 2 gradi). Una specie di bilancio di quanto fatto, e promesso, finora; e di quanto gli impegni possano spingersi verso vette più ambiziose. E allora per guardare in casa nostra occorre ricordare che solo per i danni delle due alluvioni, che nel 2023 hanno colpito Romagna e Toscana, l’talia ha speso 11 miliardi di euro, ossia oltre un terzo della legge di bilancio 2024. Risorse economiche che, con azioni di adattamento e mitigazione, potevano essere investite in prevenzione. L’Italia è sempre più esposta alla crisi climatica che avanza e all’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi che nel 2023 sono arrivati a quota 378, +22% rispetto all’anno precedente. Per questo è fondamentale una chiara e decisa strategia di prevenzione attuando al più presto le 361 azioni individuate nel Piano di adattamento ai mutamenti climatici da poco approvato, tra cui le aree e vasche di esondazione e i processi di rinaturalizzazione dei bacini idrografici e dei versanti pe ridare spazi ai fiumi, per far sì che la nostra Penisola conviva nei prossimi anni con l’emergenza climatica evitando così di rincorrere le emergenze. Prevenire le emergenze vuol dire anche aprire cantieri di rigenerazione urbana, rinaturalizzazione del territorio, deimpermeabilizzazione del suolo ovvero posti lavoro e sicurezza per i cittadini. Questa è la vera sfida in campo, fare della lotta ai mutamenti climatici un’occasione di nuova economia conciliando la trasformazione necessaria con i diritti, a partire da quello su cui si basa la nostra Costituzione: il lavoro.

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